domenica 18 novembre 2012

Rabarbaro questo sconosciuto!

 

Collego il rabarbaro fin dall'infanzia alle famose caramelle dalla carta rossa con quella nota prevalentemente amara. Vederne nell'orto la pianta, però, è stata una sorpresa: è grande, con foglie enormi che celano lunghi gambi rossi.
Seguendo un po' la tradizione anglosassone, ho deciso di farne una marmellata. Da mangiare senza eccedere, pena un buon effetto lassativo. Il sapore è particolarissimo, fresco, un po' aspro, per niente amaro.
Ho fatto due esperimenti, nella prima marmellata ho messo la mela, per addolcirne il sapore, nella seconda ho aggiunto lo zenzero per esaltare l'asprezza con un pizzico di piccantezza. Che dire, a me piacciono entrambe!!! Ecco la ricetta semplicissima.

Ingredienti
Gambi di rabarbaro
Zucchero
Mela o zenzero

Procedimento
Sbucciare i gambi per togliere i filamenti, come si fa con il finocchio, tagliarlo a tocchetti, pesarlo e aggiungere lo zucchero. Io ne ho messo il 10%: su un chilo di rabarbaro, 100 grammi di zucchero.
 Lasciare il tutto a riposare in frigorifero per una notte. Il mattino seguente frullare con il minipimer i gambi, che si amalgameranno al succo rosso che hanno rilasciato durante la notte. Quindi mettere la pentola sul fuoco, aggiungere la mela o lo zenzero (io l'avevo in polvere) e mescolare. Il rabarbaro ha un forte potere addensante, per cui non servono pectina, agar agar o altre diavolerie. A metà cottura ho frullato ancora un po' fino a raggiungere la consistenza desiderata. Basta fare la classica prova del piattino per capire quando la marmellata è pronta: quando la goccia non scivola più sul piatto ci siamo. Invasettare, sterilizzare, portare i vasetti in cantina e vantarsi con le amiche della nuova scoperta.
Un po' ne ho tenuta da parte da assaggiare appena si è raffreddata ed è stato subito amore!






mercoledì 7 novembre 2012

E poi, finalmente, un buon pane!






















Dopo più di un mese di tentativi piuttosto deludenti con il mio licoli alimentato con pregiatissima manitoba biologica (ingrato!) è venuto in mio aiuto G., che il pane lo fa da anni e anni, per aiutarmi a capire cosa sbagliavo nella panificazione. Girando come una trottola tra blog e foto appetitosissime la frustrazione era alle stelle, ma quando ho sentito il profumo di questa pagnotta ho capito che è l'inizio di una nuova era.

G. mi ha portato la sua pasta madre (p.m.) e me ne ha regalata un po' :) Sarà in questa p.m. il segreto del successo? Poiché non è buona educazione chiedere l'età di una signora, non ho approfondito l'argomento. La Signora rimarrà avvolta da un'alone di mistero riguardo alla sua età, ma di certo so che è stata alimentata a semola di grano duro. Il primo consiglio che mi ha dato G., infatti, è di rinfrescare la p.m. con semola di grano duro, che dona un bel colore giallo e quell'aroma inconfondibile al pane. Essendo aggiunta nel rinfresco, la semola ha il tempo di ammorbidirsi e di perdere quella sua granulosità che di certo rovinerebbe l'impasto. In caso si voglia fare un pane di grano duro, bisognerà comprare la semola rimacinata, che è più fine.

In secondo luogo mi ha consigliato di partire con una base di farina 0 o manitoba e di provare a modificare per gradi il mix di farine, che lui in genere mischia così:
40% di farina 0 o manitoba
20% integrale
20% semola di grano duro (nella p.m.)
20% a piacere (ad esempio farro)

Abbiamo convenuto entrambi che la cosa più importante sia avere un pane mangiabile e non una suola di scarpe da gettare quindi, anche se non è ortodosso, mi ha suggerito di aiutarmi le prime volte con un po' di lievito di birra secco in caso voglia sperimentare farine particolari come la segale o di cui non conosca la forza e il grado di lievitazione.

Infine G. mi ricorda che in media il pane cotto peserà il 20% in più rispetto ai grammi di farina usata.

Tutto l'ambaradam dura 3 ore, compresa la lievitazione, più 1 minuto per il rinfresco del mattino.

Ecco il procedimento.

Effettuare al mattino un rinfresco della p.m.
Nel pomeriggio o alla sera preparare l'impasto con p.m., farine, acqua, pochissimo sale, noci e uvetta bianca fatta rinvenire in poca acqua. Impasto per bene, per una quindicina di minuti, finché il composto non è liscio e morbido. Do la forma, nascondendo sotto la superficie l'uvetta e le noci, affinché non brucino durante la cottura. Effettuo dei tagli sulla superficie profondi un centimetro con un coltello ben affilato.
Metto sulla teglia leggermente oliata la pagnotta, la ungo un po' sulla superficie e la copro con la pellicola trasparente. In circa 2 ore a temperatura ambiente il pane raddoppia di volume.
Lo metto nella parte bassa del forno a 220°C per 20 minuti, poi lo metto a metà altezza per altri 15 minuti a 180°C, quindi spengo il forno e lo lascio altri 5-10 minuti all'interno, tempo che si asciughi ancora un po'.
Nel caso durante la cottura la crosta diventi troppo scura coprire il pane con un foglio di carta stagnola. I tempi, ovviamente, variano in base al forno.

Quando tolgo il pane dal forno, lo batto sul fondo, se il suono è "di vuoto" la cottura è ultimata. Si può fare anche la prova stuzzicadenti per avere una maggiore sicurezza. Perché si raffreddi e si asciughi in modo uniforme, è importante che la pagnotta non sia disposta direttamente su un piano o, ancora peggio, in un piatto: meglio adagiarla su una griglia o metterla in posizione inclinata con l'aiuto di un qualunque sostegno (tipo un bicchiere o una tazza).

Al taglio devo vedere la crosta di colore più scuro e di spessore uniforme e l'alveolatura dev'essere equilibrata in tutto il volume. Bisognerebbe anche attendere che il pane sia freddo per assaggiarlo, ma questa volta è stato proprio impossibile resistere.




venerdì 2 novembre 2012

Perdersi e ritrovarsi in sella a una bicicletta

Ci sono città dalla bellezza nascosta. Milano non è una città ruffiana, non ti affascina con un'ingente quantità di meravigliose e spudorate architetture, al massimo ti ubriaca, con i sui happy hour e la frenesia continua, ti fagocita con il suo cemento, le sue auto in coda, strombazzanti e frementi in attesa che scatti il verde, i suv in doppia fila e le cene e gli eventi e la settimana della moda e quella del design e i festival del cinema e poi quelli del cibo e poi e poi e poi.

E poi c'è quell'altra parte, quella più nascosta e affascinante, fatta di fontane e giardini che fanno capolino dietro i grandi portoni, l'arte liberty che compare a sorpresa con balconi in ferro battuto e ceramiche dipinte, l'atmosfera magica di Brera, i chiostri della statale e i mille teatri cittadini. Basta permettersi il lusso di perdersi e ritrovarsi per le vie della città, magari in sella a una bicicletta, per capire quanto questa città sia piccola e ricca di particolari affascinanti che mai ti aspetteresti.

Così un giorno può capitare mentre pedali in centro ripetendoti per la milionesima volta quanto sia bella piazza Mercanti, di alzare la testa e di accorgersi che il cielo è di un azzurro così luminoso e così limpido che sembra di essere in campagna e lì ogni dubbio si scioglie e capisci che ormai sei innamorata persa di questa città, che ad ogni angolo cela una meraviglia che sfugge al viaggiatore compulsivo e al pendolare in corsa.